Tessitura a cintura in Chiapas

  • Autore: Trade SE
  • 19 set, 2018

Tessitura a cintura in Chiapas

“Queremos que sea reconicida nuestra forma de vestir, de hablar, de gobernar, de organizar, de rezar, de curar; nuestra forma de trabajar en colectivos, de respectar la tierra y de entender la vida que es la naturaleza, que somos parte de ella.”

“Vogliamo che venga riconosciuto il nostro modo di vestire, di parlare, di governare, di organizzare, di pregare, di curare; il nostro modo di lavorare in gruppo, di rispettare la terra e di comprendere che la vita è natura, e che noi siamo parte di essa”. [la traduzione è mia]


Queste parole, che la giornalista Laura Castellanos riporta sulla rivista “Gatopardo” in occasione di un’intervista al comandante Marcos, vengono pronunciate da donne indigene incappucciate durante la marcia del 2001.

Bastano pochi giorni in Chiapas per non stupirsi che le popolazioni indigene, come prima richiesta di libertà al congresso di Città del Messico, abbiano chiesto il riconoscimento del loro modo di vestire.

Bastano pochi giorni in Chiapas per rendersi conto che i vestiti che coprono i corpi degli autoctoni non sono solo dei semplici vestiti.

Bastano pochi giorni in Chiapas per amare, in tutti i suoi elementi, la tessitura di questo stato del Messico.  

“Vogliamo che venga riconosciuto il nostro modo di vestire”

I vestiti per le popolazioni autoctone del Chiapas, non sono solo un modo per coprirsi, ma sono una forma autentica e profonda di documento d’identità. 

Un determinato colore, un determinato motivo, un determinato taglio del vestito indica (a chi lo sa riconoscere) il luogo d’origine e la tradizione culturale della persona che lo indossa. Quando un Indio si veste, che sia uomo o donna non importa, con un vestito tradizionale è come se indossasse una seconda pelle che racconta a sé stesso e a chi lo guarda la storia del suo popolo e il suo trascorso culturale. È come se nei codici di scrittura presenti nei simboli dei loro vestiti ci sia trascritto in un altro alfabeto il DNA del loro essere.

Nella tradizione tessile messicana si riflettono le straordinarie diversità culturali che caratterizzano ogni singola regione, ogni singola provincia, fino ad arrivare anche a ogni singolo paese. Ad una storia comune di grande antichità, ogni regione unisce i suoi aspetti peculiari.

La selezione dell’ordito per il disegno avviene manualmente

Il Chiapas, oltre a essere uno degli stati più poveri della repubblica del Messico, è anche quello ad avere la più alta presenza di popolazioni indios. Tzeltales, Tzotziles, Tojolabales sono solo alcune delle popolazioni che parlano lingue della famiglia Maya. I Maya delle terre alte quindi, per riconoscersi e distinguersi tra di loro hanno assegnato agli indumenti il ruolo e il compito di segno indicativo culturale. E così le tecniche, i disegni e soprattutto i significati si sono conservati nel corso della storia arrivando fino ad oggi da molto lontano diventando una forza che protegge l’identità a distanza di secoli.

Camminare per le strade di San Cristobal de Las Casas o per le vie di un qualunque villaggio della sierra, e vedere uomini, donne e bambini coperti da questi codici come fossero tatuaggi, rende tutto più misterioso e incredibilmente onirico. 

Per l’antropologo Andres Fabregas i tessuti del Chiapas sono “una forma di resistenza culturale e la forza dell’anima di un popolo nei secoli. L’identità splendidamente criptata che uomini e donne 

portano sopra il petto come un’armatura di fili, è più forte di sicuro di qualunque ferro”.

L’arrivo dei conquistadores nel sedicesimo secolo significò una brusca interruzione della storia nativa. Ogni cosa venne bruscamente e tragicamente interrotta: gli schemi intellettuali, l’arte, la scienza, la lingua. In questo contesto di forte pressione nasce, per l’antropologo Fabregas, una forte resistenza culturale.

Le popolazioni native hanno usato la tessitura come forma di resistenza. 

Gli elementi del telaio sono diventati armi di sopravvivenza culturale. Partendo dall’ampia varietà dei motivi del passato, gli indios ne elaborarono di nuovi, sia presi dalla natura che nati da idee astratte. Così, mentre da una parte si sviluppava una società nuova con nuove forme culturali, dall’altra parte i popoli autoctoni del Chiapas ricostruirono la loro identità e la trasmisero nel modo più sicuro: facendola vedere al conquistatore tutti i giorni nel lavoro tessile e nei tessuti che indossavano. 

I movimenti celesti, i posti delle stelle, i segreti dell’agricoltura, i luoghi mitici degli dei, le grotte e i luoghi sacri, la fauna magica dei miti, furono trasmessi di generazione in generazione fino ad oggi nei tessuti che risultano portatori di disegni radicati nella millenaria storia di questi popoli.

Per Alfonso Alfaro, noto antropologo messicano, il tessuto in Chiapas per gli Indios è ancora qualcosa di più forte e profondo. Il vestito non copre soltanto e neppure è solo un documento d’identità ma si spinge oltre, è un’opera quasi totale, che porta con sé significati nascosti e invisibili e sarebbe un errore non unire l’aspetto pratico e quello emotivo.


L’identificazione tra vestito e individuo è così forte che quando un famigliare muore lontano da casa e dai suoi cari, i parenti del defunto prendono i suoi vestiti e celebrano il funerale senza il corpo. Usano candele, incensi e interrano i vestiti del proprio caro in una vera e propria fossa, come quella che avrebbe accolto il corpo senza vita. Il vestito, così, assume altri significati e, da fili e fibre, diventa carne, sangue, diventa corpo.

Donne al Lavoro

 

Cortés e altri cronisti dell’epoca di Re Carlo V, fin dai loro primi documenti, quando arrivarono in Messico descrissero con grande ammirazione la bellezza dei vestiti splendidamente colorati e ricchi di disegni con cui si coprivano gli indios. 

Cortés così scrisse al suo re:


“Demas desto, me dio el dicho Muteczuma mucha ropa de la suya, que era tal, que considerada ser toda de algodon y sin seda, en todo el mundo no se podia hacer ni tejer otra tal, ni de tantas y tan diversas y naturales colores ni labores (…) muy maravillosas (…)”

“Oltre a questo, il così chiamato Montezuma mi diede molti dei suoi vestiti, che, considerando essere tutti di cotone e senza seta, non si potevano fare né tantomeno tessere in tutto il mondo di simili, né così tanti e tanto diversi tra loro né per i colori naturali né per le lavorazioni (…) veramente meravigliosi (…)” [la traduzione è mia]

   

Questi tessuti tanto meravigliosi da essere descritti ed elogiati al re in persona, venivano realizzati dalle donne indios su dei semplici telai a tensione, meglio conosciuti come telai a cintura. Agli spagnoli però, più attratti dall’oro che dalla storia locale, non interessavano tessuti broccati che parlassero di una cultura diversa dalla loro. E così importarono nel continente da loro appena “scoperto” i telai a pedali, telai più larghi, più veloci, a più licci, più adatti a una produzione seriale.


I conquistatori crearono dei laboratori di tessitura comunitari chiamati Kamulnà, dove le donne erano costrette a recarsi tutti i giorni a tessere tela semplice, una tela bianca, vergine, senza disegni, per pagare i tributi ai loro nuovi sovrani.

In alcune regioni del Messico questa violenza fu così forte e radicata che la tessitura a tensione sparì del tutto. Nella penisola dello Yucatan ad esempio (altra regione che sono riuscito a vedere nel mio breve viaggio) i telai tradizionali a cintura non si trovano più. Qui, a differenza del Chiapas, si sviluppò maggiormente l’uso del ricamo, pratica già largamente diffusa, e l’utilizzo del telaio a 4 licci. La tela semplice tessuta nei Kamulnà passava alle monache le quali, dopo aver insegnato i punti europei alle donne locali (uno fra tutti il punto croce), facevano ricamare motivi cristiani.

In Chiapas, invece, le popolazioni Indios riuscirono a rimanere più legate alle loro tradizioni e usarono il telaio preispanico proprio – per riprendere le parole di Fabregas - “come forma di resistenza culturale”.


Di certo oggi, come cinque secoli fa con i conquistadores, gli indios sentono il capitalismo e la globalizzazione come una minaccia intenta a distruggere nuovamente il loro territorio e la loro storia.


E se il movimento zapatista tra le prime richieste annovera quella di riconoscere il loro modo di vestire, ciò testimonia che oggi, come cinque secoli fa, la tessitura è per loro più che viva e di vitale importanza e, in essa, continuano a riconoscersi. E così come di fronte ai telai a pedali portati dagli spagnoli, anche oggi di fronte ai telai industriali e alla produzione di massa, gli indios continuano a tessere sui telai a cintura, mai cambiati, sempre identici a sé stessi. 


Con abile maestria, sedute per terra con attaccate al corpo orditi fitti e larghi, accoccolate come ragni sulle loro tele, le donne, oggi come ieri, insegnano alle figlie come tessere e i significati, antichi e moderni, di quei codici che vanno formandosi sulla tela. 

A San Andrés, ad esempio, una bambina è portata all’uso del telaio fin dalla sua più tenera età. Quando nasce una bambina è uso circondare la neonata con il telaio e tutti i suoi accessori. Dopo aver bagnato la piccola con acqua santa, viene messo il telaio nella culla. Le bambine diventano donne a 12-13 anni, quando vengono riconosciute dalla comunità come tessitrici. 

La tessitura a mano in Chiapas è ancora fertile. 

Ci sono giovani tessitrici che non si limitano a riprodurre solo motivi tradizionali ma creano disegni nuovi, che diventano la loro firma. I tessuti e le loro creatrici hanno ancora molto da dire e non possiamo che sperare che continuino a lungo, affascinati come siamo del loro raccontare e desiderosi di ascoltare le storie tessute dai loro telai. 


San Crisobal de las Casas. Gli ordito sono molto fitti e possono raggiungere gli 80 cm di larghezza


Io a San Andrés presso una coperativa di tessitrici

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