Tessitura ai tempi del Covid-19

  • Autore: Trade SE
  • 01 nov, 2021

Articolo scritto a giugno 2020

Se fosse stato un terremoto! Una buona scossa e non se ne parla più … Si contano i morti, i vivi, e il gioco è fatto. Ma questa porcheria di peste! Anche coloro che non l’hanno la portano nel cuore.
(Albert Camus, La peste)


Si sa, oramai è storia. Tutto ha inizio a Wuhan, poi Corea del Sud, Italia, Europa, U.S.A e settimana in settimana un nuovo virus non chiede permesso e fa il giro del mondo. L’11 febbraio si ha un nome ufficiale: il nome scelto dall’Oms è Covid-19. I casi accertati salgono a 118 mila in 114 paesi ed è pandemia, ad annunciarlo dalla Svizzera è Tedros Adhanom Ghebreyesus direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’undici marzo 2020. Lo stesso giorno in Italia esce un nuovo decreto che prevede forti restrizioni. Si usa il termine lockdown, parola dal suono duro per dire che il paese si chiude e si ferma tranne per i servizi essenziali e ci si ripete come un mantra #iorestoacasa. Sempre l’OMS il 13 marzo dichiara che l'Europa sta diventando il nuovo epicentro della pandemia. Nelle nostre città ai balconi c’è chi canta e chi mette striscioni colorati con sopra scritto #andràtuttobene.

Fin dalle prime dichiarazioni di emergenza, per far fronte alla crisi sanitaria, la politica si adopera, il mondo economico fa le sue scelte, si attiva immediatamente la scienza. Si, quella stessa scienza che per anni ha provato a lavorare fianco a fianco della politica senza ricevere spazio (non ci è riuscito il riscaldamento globale o il buco dello ozono, ci riesce invece un minuscolo virus), si trova ora scaraventata nel giro di un niente nei palazzi di potere a suggerire cosa è bene e cosa no.

Insomma, politica, economia, scienza. E la tessitura? In questo stravolgimento epocale come si comporta? Cosa fa? Rimane ferma come attività statica o si dimostra reattiva, viva, capace di leggere i tempi e far fronte alla situazione?

La tessitura prova, a modo suo, a dare una mano. Andiamo per gradi. Ci si accorge abbastanza in fretta che i dispositivi minimi di sicurezza in Italia sono molto scarsi e difficili da trovare. Non solo nelle farmacie per la gente comune, ma anche negli ospedali le mascherine, i camici, i guanti e gli occhiali sembrano beni di lusso. Non si trovano perché semplicemente non ci sono. Spesso le mascherine e i camici che vengono forniti negli ospedali non sono professionali. Sono molte le denunce di infermieri e di sindacati e a marzo, dichiarazioni di medici come “p iù che a delle mascherine assomigliano ad un panno per togliere la polvere", sono molte. In quei giorni di panico, quando gli operatori sanitari venivano chiamati eroi e un po’ dappertutto era forte la retorica della guerra, ebbene, il pensiero che la storia si ripet a era in me molto forte . Così come nel ‘ 4 2 i soldati italiani (questa volta veri) venivano mandati a invadere la Russia mal equipaggiati, con armi vecchie e abiti non idonei, anche nel 2020, nei giorni di picco massimo del contagio e con il sistema sanitario prossimo al collasso, infermieri e medici non erano protetti adeguatamente.

Eppure era il 1619 quando in Francia, il medico del re Luigi XIII, Charles de Lorme, prendendo come spunto le armature dei soldati, pensò a un vestito completo per i medici da usare in tempi di epidemie e pestilenze. Partendo dalle rudimentali maschere protettive a forma di becco usate in Italia dai medici a partire dal XIV secolo , De Lorme ideò una veste idrorepellente in tela cerata lunga fino ai piedi, comprensiva di guanti, scarpe e cappello a tesa larga. All’interno del becco della maschera venivano messe essenze aromatiche e paglia, che agivano da filtro e che avrebbero dovuto (secondo le credenze dell'epoca) impedire il passaggio degli agenti infettanti.

Una poesia del XVII secolo descrive così l'abito del medico della peste:

«Come si vede nell'immagine,
a Roma i medici compaiono
quando sono chiamati presso i loro pazienti
nei luoghi colpiti dalla peste.
I loro cappelli e mantelli, di foggia nuova,
sono in tela cerata nera.
Le loro maschere hanno lenti di vetro
i loro becchi sono imbottiti di
antidoti .
L'aria malsana non può far loro alcun male,
né li mette in allarme.
Il bastone nella mano serve a mostrare
la nobiltà del loro mestiere, ovunque vadano.»


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vestito del medico della peste

L’idea dunque era che, così equipaggiato, il medico non corresse rischio alcuno. La tela cerata era una corazza che separa va il medico dalla malattia, così come un o scafandro protegge il palombaro dagli abissi e la tuta spaziale l’astronauta dai raggi cosmici. A llo stesso modo, a febbraio 2020, l’OMS dichiara che le mascherine chirurgiche forniscono una barriera per le goccioline potenzialmente infettive ”.

Ma c’è un problema di fondo: in Italia (e un po’ in tutto il mondo occidentale ) da qualche anno a questa parte, nessuno produce più mascherine. Mandare nei reparti Covid il personale medico senza mascherina s arebbe un po’ come dire a Jacques-Cousteau e a Neil Amstrong di intraprendere una loro missione in costume da bagno o giacca-vento.

A dire il vero tutta l’ Europa, e in generale il mondo occidentale, a inizi anni 2000 smette di produrre mascherine a causa dei costi dei contenziosi e della concorrenza straniera. La Cina così, nel giro di poc o tempo , controlla il 50% della produzione globale di mascherine. I l gioco è fatto: di fronte alla propria epidemia di Coronavirus la Cina dedica tutta la sua produzione ad uso interno limitando le esportazioni ai paesi stranieri. Arcuri, commissario all’emergenza in Italia , fa il punto della situazione: “ le mascherine sono le munizioni che ci servono per combattere questa guerra ma non le abbiamo a casa nostra . Purtroppo l’Italia non produce mascherine se non in quantità insignificanti. Tutti i Paesi sono attaccati o stanno per essere attaccati dall’epidemia e chi ha la possibilità di produrre quello che serve per combatterla legittimamente se lo tiene per sé. Siamo dentro una guerra commerciale molto dura e molto complicata”. Così descritto, il tessuto da una parte si rivela essenziale nella guerra contro il virus in quanto scudo protettivo, e dall’altra lo stesso tessuto diviene oggetto bramato e conteso in una guerra commerciale. Vista da questa prospettiva la tessitura è al centro di una guerra nella guerra.

I n una situazione dove da una parte la domanda è a mille e dall’altra parte l’offerta è sotto zero, inizia molto in fretta la caccia alla mascherina. I prezzi spesso vengono quintuplicati, le code davanti alle farmacie si fanno lunghe e nervose e i rifornimenti dai paesi orientali sono vere e proprie odissee. Ma questa, per prendere in prestito una frase tormentone da Carlo Lucarelli, è un’altra storia.

Quello che trovo interessante è la risposta immediata a questa situazione del mondo della tessitura . I n quella che viene chiamata fase 1 l a tessitura entra in gioco di sua iniziativa dimostrandosi anche oggi attività protagonista e di vitale importanza per l’uomo. Ha dato prova di saper reagire a una situazione complicata e adeguarsi e rispondere alle esigenze del momento confermando di essere fedele compagna ne l cammino evolutivo dell’uomo .

Molte realtà tessili dello stivale hanno convertito le proprie linee di produzion e. L e nuove necessità si sono trasformate in virtù dando vita a nuovi progetti . Dall’abbigliamento tecnico per lo sport al tessuto non tessuto per le mascherine, dal confezionamento di abiti da vendere online a quello dei camici monouso; c osì il tessile-moda made in Italy ha risposto al Covid. Ma come sempre accade, alla risposta di un problema nasce un nuovo problema . Era il 19 marzo quando Andrea Tronzano, assessore delle attività produttive del Piemonte, intervistato da Matteo Chiarenza sulle frequenze di RBE, faceva presente il problema della certificazione delle mascherine. Ma anche questa è un’altra storia.

Il 27 maggio invece il commissario all’emergenza Arcuri dichiara che c on gli in c entivi di Cura Italia è nata una filiera italiana di produzione di mascherine che renderà il nostro Paese autonomo da qualunque importazione” .

E se nella fase 1 la tessitura è stata sul pezzo, a emergenza finita co sa prevede di fare? In questi mesi si sentiva spesso la frase: il mondo non sar à più lo stesso . E dunque: c he tipo di tessitura sarà dopo l’epidemia?

Poiché la domanda modula l’offerta, crescono le richieste di prodotti tessili con trattamento per la protezione antibatterica e antivirale e il tema della salute e della protezione da virus e batteri è diventato una priorità per le aziende del tessile-moda italiane.

Non esiste ancora una tecnologia testata anti Covid-19 ma divers e aziende hanno accelerato la ricerca per realizzare prodotti che facciano da schermo a virus e a batteri.

Roberto Grassi, presidente dell’unione industriali di V arese, in un’intervista del 27 marzo dice , l a sfida di adesso è cercare di produrre tessuti che riescano a dare lo stesso livello di protezione dei tessuti non tessuti . P artendo dalla nostra tradizione vogliamo creare tessuti tessili che riescano a fermar e il virus attraverso finissaggi particolari ”.

Su l Sole 24 ore del 13 maggio , Stefano Albini presidente del Cotonificio Albini Spa, a questo proposito dice: “ Quello che abbiamo sviluppato sui tessuti è una formula di fissaggio che abbiamo chiamato ViroFormula: un procedimento industriale che genera sui tessuti un effetto antivirale e antibatterico, fino a cento volte più efficace della norma”.

Parallelamente alle ricerche di sistemi di fissaggio c’è una ricerca altrettanto interessante sulle fibre tessili già antibatteriche e antivirali in partenza. Queste fibre, probabilmente, per avere successo nel periodo post-Covid, dovrebbero avere come ulteriore caratteristica quella di essere sostenibile ed ecologica partendo, possibilmente, dal concetto di smaltimento di scarti industriali. In quest’ottica fibre come quella proveniente dal latte potrebbero tornare in auge.

Elio Fiorucci diceva che “la moda nasce per strada”. Per le strade oggi si vedono persone coperte da mascherine in cerca di protezione e allo stesso tempo di primavera. E dunque, quali meraviglie saprà dare alla luce la tessitura? E’ di Coco Chanel la frase: “la moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con le idee, il nostro modo di vivere, che cosa sta accadendo”.

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